Questo modello terapeutico nasce con la terapia cognitiva nei primi anni ’60, grazie alle intuizioni di Aaron T. Beck nell’Università della Pennsylvania, per trattare la depressione, in modo strutturato, breve e orientato nel presente, volto a risolvere i problemi attuali, lavorando sulle convinzioni ed il comportamento del paziente. Da allora questo modello è stato adattato ed ampliato anche per il trattamento di una vasta gamma di problematiche, mantenendo costanti le assunzioni teoriche e modificando focus, tecnica e durata del trattamento.
Presupposti del modello
Il modello cognitivo ipotizza che le manifestazioni di sofferenza psicologica siano accumunate da modalità di pensiero sostanzialmente irrazionali o comunque poco funzionali al raggiungimento dei propri scopi. In altre parole, le nostre emozioni ed i nostri comportamenti sono influenzati da “come” noi valutiamo gli eventi. Non è una situazione in sé a determinare ciò che sentiamo in quel momento, ma è piuttosto il modo in cui noi interpretiamo (pensiamo) tale situazione a renderci tristi, arrabbiati, entusiasti, gelosi, spaventati, ecc., e a farci agire di conseguenza a tali stati d’animo. Sono proprio i nostri pensieri a mediare, come attraverso una lente, la lettura di una situazione e le conseguenze di un’interpretazione rispetto ad un’altra. Questo è particolarmente problematico quando il nostro pensiero è diventato rigido e si caratterizza per l’elevata presenza di errori logici o bias cognitivi, quali catastrofizzazioni, doverizzazioni, ragionamento dicotomico, inferenze arbitrarie, personalizzazioni. Queste “scorciatorie” di pensiero, aiutano la nostra mente a etichettare in fretta una certa situazione, ad occuparcene nel breve termine, impedendoci di elaborare l’esperienza in maniera più completa e di legarla al contesto in cui avviene, lasciandoci in preda al pregiudizio e a reazioni impulsive facenti seguito a conclusioni affrettate.Il nostro modo di pensare deriva da credenze o convinzioni molto profonde, che abbiamo sviluppato e fortificato nel corso della nostra crescita; ha, dunque, un profondo senso storico e non è necessariamente errato, ma, ad un certo momento della vita, può rivelarsi meno utile nell’affrontare nuove situazioni o può essersi indurito eccessivamente, diventando poco fluido ed elastico.
Lavorare secondo il modello teorico della terapia cognitivo comportamentale (TCC) implica provare ad agire su queste convinzioni aprendosi a delle nuove alternative, che possano risultare percorribili e più efficaci per il raggiungimento dei propri scopi e, in generale, per essere più adattabili di fronte ai cambiamenti e alle novità.
Durante il percorso, terapeuta e paziente procedono come una coppia di scienziati: costruiscono e sperimentano ipotesi, testano il cambiamento dapprima in laboratorio (seduta) e poi fuori (nella vita quotidiana del paziente). Ciascuno contribuisce con la propria competenza specifica: il terapeuta come esperto nelle tecniche utilizzate ed il paziente come esperto di se stesso e dei suoi vissuti.
Le tecniche della psicoterapia cognitivo-comportamentale
La TCC origina dalla combinazione di due forme di terapia, con le loro rispettive tecniche:- Da un lato abbiamo la terapia cognitiva, che aiuta ad identificare i pensieri ricorrenti, gli errori logici abituali di interpretazione della realtà che causano le emozioni negative, e a sostituirli con pensieri più realistici e funzionali al benessere della persona. Esempi di tecniche cognitive sono la psicoeducazione, il monitoraggio tramite diari o schede, la ristrutturazione cognitiva.
- L’altro contributo alla TTC viene dalla terapia comportamentale, che punta al cambiamento del nostro modo di reagire a quelle situazioni che ci creano difficoltà, tramite l’apprendimento di nuove modalità di reazione (emozioni e comportamenti). Sono esempi di tecniche comportamentali l’esposizione con prevenzione della risposta, la desensibilizzazione sistematica, la rottura dei pattern comportamentali, il role-playing.
Per ciascuna patologia le tecniche vengono impiegate all’interno di protocolli specifici e standardizzati.
Gli homework sono infine un tratto distintivo della TCC. Tra una seduta e l’altra paziente e terapeuta concordano infatti dei “compiti a casa” utili per il paziente, in modo che quest’ultimo possa sperimentarsi nella propria vita quotidiana in osservazioni o azioni che sono state oggetto di discussione in seduta e che ora, per essere efficacemente apprese, vanno consolidate e messe alla prova tramite la pratica. Ne sono esempi esercizi di scrittura, letture consigliate, l’introduzione graduale di cambiamenti nella routine, esperimenti comportamentali e utilizzo di tecniche (es. esercizi di rilassamento o di respirazione).
Oggi il modello cognitivo-comportamentale è tra i più studiati e validati al mondo ed è considerato un trattamento d’elezione nelle linee guida internazionali per vari problemi psicopatologici, come ad esempio attacchi di panico, fobie, disturbo ossessivo compulsivo, depressione, disturbi del sonno, dipendenze, disturbi del comportamento alimentare (in particolare la bulimia nervosa).
Riassumendo, l’approccio cognitivo-comportamentale è dunque:
- Centrato sul presente
- Pratico e concreto
- A breve termine
- Orientato ad uno scopo
- Attivo e collaborativo, perché sia il terapeuta che il paziente giocano un ruolo attivo nella terapia
- Scientificamente fondato e misurabile, infatti è stato dimostrato da numerosi studi che il metodo cognitivo-comportamentale si rivela efficace per il trattamento di diversi disturbi
- Adatto al setting individuale, di coppia e di gruppo
- Daniel Kahneman (2017). Pensieri lenti e pensieri veloci. Mondadori.
- Albert Ellis (2015). L’autoterapia razionale emotiva. Come pensare in modo psicologicamente efficace - Erickson.